26/12/08

L'Enormem Penem

Il Parco di Casalotto è sempre più abbandonato, degradato e spoglio. Anche i ladri non si fanno più vivi. Ormai è rimasto poco da rubare. Persino il punteruolo rosso si è fatto beffa di gran parte delle palme del parco e i 5 miliardi di lire per risanarlo sono morti definitivamente nell'indifferenza della Giunta Cutuli. In Consiglio si attendono ancora i motivi di tale scellerato comportamento. Tutto tace.

La storia della città del Casalotto è perennemente violata. Ne sa qualcosa l'ex sindaco Pulvirenti che da giugno tutte le notti viene tormentato e tenuto sveglio dalle tenebrose grida del Marchese di Casalotto che non lo lascia più solo. Almeno fino a quando non chiederà scusa pubblicamente.

Il Marchese è ancora più inferocito di prima, la nuova amministrazione continua a violare la storia che lui stesso rappresenta ed è per questo che per porre fine allo scempio ha vagato nella sua memoria alla ricerca di colui che ancor meglio di sè potesse rappresentare la rabbia contro i profanatori del mito del Casalotto.

La sua mente è volata al 1921 quando ancora in vita, il Principe Domenico Bonaccorsi, cultore del vino e proprietario del palmento con il torchio più grande della zona, si occupava del suo vitigno.

Fu così che per assestare le sue viti ordinò dei lavori di sterramento e in maniera fortuita quanto fatale gli scavi diedero luce a dei resti di una antica villa romana.

Nella zona chiamata “Il Tondo” il fabbricato più antico che venne ritrovato risaliva al I secolo d.C., era uno scantinato di una villa rustica. Vennero trovati anche recipienti e lanterne in terracotta, tessere di mosaico, frammenti di una statuetta di Ercole, monete e una spilla di bronzo.

Ma la scoperta più interessante, lo sanno anche i bambini, è stata quella di una parte di lapide di marmo incisa in due lingue: greco e latino.

L'epigrafe risale al III° sec d.C. E per gli studiosi è stato difficile comprendere il senso dell'iscrizione in quanto le parole rimaste per intero sono poche ma una cosa è stata sempre chiara: l'ORMEM PENEM si riferisce al culto di Priapo, dio greco e latino della fertilità, della fecondità e del vigore generante.

L'iscrizione interpretata e corretta nel 2001 la possiamo leggere qui di seguito:


mandò qui e là prosperità e chiese

come ricompensa che quelli venissero dalla città nei campi

e sempre fossero a capo (della processione) quelli per il debole membro

portando a lui il frutto per partecipare alla festa orgiastica e

vedere con i compagni di culto questo grosso (pene)

mi fece Samio penetrante da entrambe le parti

l'enorme pene per mostrare la potenza

di Rubrio Samio Filisto

Un invito a compiere una processione sacra, come ringraziamento per la prosperità dei campi dovuta all'intercessione di Priapo, dalla città (Catania) verso i campi, ossia verso la collinetta sulla quale è probabile si trovasse il tempietto dedicato al dio della forza virile e genetica.

Il dio Priapo nacque a Lampsaco, figlio di Venere (Afrodite). Pare che il grembo della madre venne toccato dalla moglie di Zeus Hera, che, gelosa, punì la dea della bellezza procurando una malformazione ai genitali del figlio. L'enorme pene del bambino procurò così tanta vergogna alla madre che lo abbandonò. Non si sa chi fosse il padre, forse Bacco dio del vino, ma potrebbero essere anche Mercurio, Marte, Adone o lo stesso Zeus.

La virilità di Priapo era talmente tanta che venne cacciato dalla sua città. Tutte le mogli ne erano così attratte che fecero diffondere dagli dei un'epidemia a tutti gli uomini affinchè tornasse.

La sua attività principale era quella di rincorrere dee e ninfe per possederle. Ma quando tentò con la dea del fuoco Vesta si bruciò. Un asino gli ragliò contro e venne scoperto così che non potè soddisfare il suo desiderio. L'errore lo ripetè anche con la ninfa Loti che per fuggire si trasformò in loto. Da allora volle espiare il suo errore facendo sacrificare asini a chi si recava in processione ai suoi altari.

La nostra epigrafe bilingue pare fosse a corredo di una statua di legno del dio greco. Fu ordinata da tal Samio Filisto il “Rosso” che si identificava nel potere virile di Priapo. Probabilmente nel tempio del Casalotto (allora Acis-Xiphonia) si manifestava il culto di Priapo: da Catania venivano in processione con in testa gli impotenti, portando in dono i frutti della terra per partecipare alla festa orgiastica e adorare la prorompente virilità di Priapo.

Ma Priapo era anche dio dei giardini e degli orti, protettore dei campi e delle coltivazioni. Aveva la benefica proprietà di distogliere gli incantesimi e i malefici ai danni dei raccolti. Esercitava il suo dominio sui campi e sui giardini, quale forza immane di rigenerazione e rinnovo perpetui.

Quale guardiano allora, meglio di Priapo, potrà oggi ridare giustizia ai giardini violentati dagli incantesimi maligni di amministratori indifferenti e silenziosi?

Pare che Priapo sia molto euforico e adirato e che si sia già messo a caccia dell'ultimo profanatore.

Io non so quali intenzioni abbia la divinità, ma fossi al posto del sindaco vuoterei il sacco o me ne starei alla larga tenendo gli occhi ben aperti.

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Principale Fonte Archeologica:
Interpretazione di un'epigrafe priapea (Agorà n. 4) gennaio-marzo 2001
di Margherita M. D. Bottino



1 commento:

Adriano Smaldone ha detto...

Buon 2009!!!